Il caffè a rischio estinzione

Secondo alcune ricerche scientifiche il caffè, una delle bevande più note e consumate in tutto il mondo potrebbe essere a rischio estinzione.

Le piante di caffè, infatti sono particolarmente delicate, essendo coltivate in alcune regioni della America Latina, Asia e Africa, in specifiche condizioni ambientali, con temperature tra i 18 e i 21 gradi, con giornate calde (ma non troppo) e notti fresche, con precipitazioni che non devono essere troppo abbondanti e una stagione secca assicura una fioritura ottimale.

I ricercatori hanno quindi ipotizzato che l’innalzamento delle temperature e l’aumento delle alluvioni previsti come conseguenza del cambiamento climatico, assieme alla deforestazione e alla diffusione di malattie e parassiti, renderanno molti terreni inadatti alla coltivazione delle piante di caffè nei prossimi anni.

Si stima che nel 2050 le zone dove potrà essere coltivato il caffè saranno soltanto la metà di quelle in cui cresce attualmente.

Negli ultimi anni, in paesi come la Colombia la produzione di caffè ha già iniziato a calare: gli interventi da attuare per adattarsi alle nuove condizioni di coltivazione sono costosi, i prezzi bassi danno guadagni esigui e diversi agricoltori stanno così ripiegando su altri tipi di coltura; molti di più, tuttavia, potrebbero trovarsi senza una fonte di sostentamento entro pochi anni.

Inoltre, secondo uno studio pubblicato nel 2019 su Science Advanced da alcuni ricercatori dei Royal Botanical Gardens di Kew, in Inghilterra, circa il 60% delle 124 specie di piante selvatiche di caffè è vulnerabile o a rischio di estinzione.

Si stima che l’80% del caffè venga prodotto da 25 milioni di piccoli agricoltori, molti dei quali si trovano già in condizioni di particolare povertà. Secondo uno studio della Yale School of Economics, sebbene il commercio del caffè generi ricavi per oltre 100 miliardi di dollari all’anno, i profitti per gli agricoltori sono minimi, tanto che qualsiasi evento imprevisto, per esempio la siccità o l’arrivo di una malattia, può influire sui prezzi già bassi e particolarmente volatili del caffè, con effetti sproporzionati per chi già ha poche possibilità di sostenersi.

A questo proposito, la International Coffee Organization (ICO), un’organizzazione intergovernativa con lo scopo di migliorare la cooperazione tra paesi che acquistano e distribuiscono caffè e i paesi produttori, ha evidenziato un calo della produzione nel 2020, dovuto in parte all’impatto della pandemia da coronavirus, che ha colpito in maniera piuttosto forte e incontrollata alcuni paesi dell’America Latina, come il Brasile.

In particolare, la ICO ha stimato che la produzione globale del ciclo del caffè nel periodo 2019/2020 sarà di 168,01 milioni di sacchi (il sacco è l’unità di misura utilizzata per stimare la produzione di caffè, pari a 60 kg), con una diminuzione del 2,9 per cento rispetto al ciclo del 2018/19. Le esportazioni di caffè nel giugno del 2020, invece, sono state di 10,57 milioni di sacchi, inferiori del 5,3 per cento rispetto al giugno 2019.

Il calo della produzione e delle esportazioni di quest’anno, tuttavia, non è imputabile esclusivamente alla pandemia e al cambiamento climatico.

Già nel 2018 e nel 2019, i prezzi del caffè erano stati talmente bassi da costringere numerosi agricoltori dell’America Latina ad abbandonare le proprie coltivazioni. Una delle cose che hanno fatto abbassare i prezzi è la maggiore offerta di caffè di qualità inferiore e l’aumento dell’invenduto.

In alcuni casi, multinazionali come la nota catena di caffetterie Starbucks sono intervenute con consistenti investimenti per fornire strumenti tecnologici ai piccoli agricoltori e piantare nuovi alberi, oppure hanno stretto accordi direttamente con cooperative o produttori locali per negoziare un prezzo equo basato sui loro costi e profitti.

Tuttavia, sebbene la ICO abbia evidenziato che nel luglio del 2020 i prezzi del caffè hanno incominciato a risalire dopo tre mesi di calo, ci sono dubbi sulla sostenibilità del mercato del caffè sul lungo termine.