Imprese agricole e GDO, il 2021 sarà l’anno di svolta?

Entro il 1 maggio 2021 l’Italia dovrà trasporre nel proprio ordinamento la Direttiva europea 2019/633in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare”, la cui finalità è il rafforzamento della protezione dei fornitori della filiera agricola ed alimentare vis à vis acquirenti professionali e di maggiore forza economica, ed il determinare un livello minimo della loro tutela, omogeneo all’interno dell’Unione Europea.

La Direttiva vuole raggiungere i suoi scopi con una tecnica legislativa ormai classica nella materia di pratiche commerciali. Si definiscono bene i soggetti ai quali si applica, con il legislatore italiano che la estende a tutte le imprese dell’industria a prescindere dal fatturato, e si individuano le pratiche vietate a priori (c.d. black list), e pratiche consentite solo se concordate in termini chiari e univoci nell’accordo di fornitura (c.d. grey list).

Rientreranno ad esempio tra le pratiche in ogni caso vietate (c.d. black list): i pagamenti tardivi per i prodotti agricoli e alimentari oltre i 60 giorni rispetto al periodo di consegna (30 in caso di prodotti deperibili); l’annullamento di un ordine con un preavviso eccessivamente breve, inferiore a 30 giorni o comunque tale da fare presumere che il fornitore non riuscirà a trovare un’alternativa per commercializzare e utilizzare tali prodotti; la modifica unilaterale da parte dell’acquirente di alcune, importanti, condizioni di fornitura, quali la sua frequenza, il metodo, il luogo, i tempi o il volume, la consegna dei prodotti, le norme di qualità, i termini di pagamento o i prezzi, oppure le condizioni relative alla prestazione di servizi; il divieto di ritorsione con cui la Direttiva vieta espressamente le minacce di ritorsioni commerciali nei confronti del fornitore.

È infine sempre vietata la pratica in base alla quale l’acquirente chiede al fornitore di farsi carico del costo degli sconti relativi alle promozioni a meno che, prima dell’avvio della promozione, ne venga specificato il periodo e indicata la quantità prevista.

La trasposizione italiana della direttiva dovrà armonizzarsi con il nostro articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 e sarà estesa a tutte le cessioni di prodotti agricoli e agroalimentari, indipendentemente dal fatturato aziendale. Avrà anche specifiche, ulteriori previsioni a tutela del fornitore, come la forma scritta obbligatoria ed il divieto delle gare a doppio ribasso. Sono previste inoltre sanzioni che possono arrivare addirittura al 10 % del fatturato realizzato nell’ultimo esercizio precedente all’accertamento ed un parametro fisso per il “sottocosto”, pari ad un prezzo del 15 per cento inferiore ai costi medi di produzione risultanti dall’elaborazione dell’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (“Ismea”).

La questione dell’equità nei rapporti contrattuali nel settore agricolo è annosa, ed in alcuni Paesi a forte tradizione agricola, ad esempio la Francia, fonte di accesi scontri sociali e pervasiva regolazione. In Italia, il punto maggiormente critico pare l’enforcement. Anche in merito alla messa in opera della Direttiva in Italia, non è chiaro se sarà l’AGCM o l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (“ICQRF”) a vigilare.

Bisogno inoltre considerare, da un lato, che situazioni di vero sfruttamento di un abuso di dominanza relativa dell’acquirente sembrano sfuggire ai controlli, perché è forte il timore di ritorsioni da parte di piccoli fornitori, che non denunciano in costanza di rapporto.

Dall’altro lato un utilizzo strumentale della normativa da parte di fornitori davvero inefficienti, potrebbero bloccare gli acquirenti in dei rapporti contrattuali non voluti. Si pensi, ad esempio, al divieto della modifica unilaterale delle condizioni di fornitura o al concetto estremamente ampio di “ritorsione”. Potrebbe risultare difficile per gli acquirenti poter dimostrare, in caso ad esempio di contenzioso promosso da un fornitore, che una eventuale modifica delle condizioni di fornitura non sia stata di fatto da loro imposta. Oppure, come distinguere una “ritorsione” ex post da normali prassi commerciali di chi, semplicemente, non vuole più lavorare con fornitori inaffidabili?

Ci si chiede quindi se le aziende acquirenti che dovessero essere (strumentalmente) denunciate per asserite minacce di ritorsioni saranno libere di non proseguire il proprio rapporto contrattuale con il denunciante, o di fatto saranno costrette a non interrompere la fonitura, al fine di non dare (ulteriore) adito a quanto già riportato nella denuncia.

In conclusione, la norma ha un fine nobile, ma la sua applicazione è complessa, ed il giudicante – chiunque esso sia tra AGCM o ICQRF – dovrà garantire molto equilibrio sia nell’assicurare trasparenza nel procedimento, diritti di difesa e di contraddittorio, sia nel concreto esercizio del suo potere di decisione.